Il mio ( e il nostro ) 1˚ anno nella “Pandemia”. Un’esperienza collettiva.

By Massimo Usai

Il mio primo anno della “pandemia” è iniziato la sera di mercoledì 05 marzo 2020, quando sono stato costretto a cancellare i biglietti aerei che avevo acquistato una settimana prima, per il giorno successivo, per un weekend di inizio primavera da passare tra Roma e Napoli.

Per la prima metà di quella settimana, avevo cercato di metabolizzare ed analizzare le notizie sempre più inquietanti relative al covid-19 che arrivavano dall’Italia.

Alcuni giorni prima ero a Londra e mi guardavo attorno. Specie in aeroporto il 26 Febbraio, per capire se erano la conseguenza di una esagerazione mediatica quelle news che arrivavano dall’Italia o se erano notizie da prendere con la dovuta attenzione.

Da quei cinque giorni in Inghilterra, ero tornato convinto che era una reazione eccessiva quella che leggevo sui media della penisola.

Non stavo comunque andando in Italia quel giorno, in aeroporto a Heathrow, ma mi stavo imbarcando per Varsavia, dove sia in aereo, che in aeroporto, tutto sembrava assolutamente tranquillo.

All’arrivo a Varsavia mi recai in una zona della città che pullulava di ristoranti e bar e fu un’impresa trovare un tavolo libero. 


Nessuno parlava di Covid, nessuno aveva mascherine e nessuno immaginava neppure lontanamente che quella sarebbe stata una delle ultime giornate “normali” della nostra vita fino ad ora.

Non immaginavo neppure che da quel giorno, almeno fino ad oggi, non sarei piu’ tornato in Italia e neppure in Inghilterra.

Non mi vergogno di aver sostenuto online, con amici e parenti per telefono, “che tutti stavano reagendo in modo eccessivo”.

In fin dei conti, ero appena rientrato da Londra e li i media quasi scherzavano sul fatto che alcuni casi di Covid fossero accaduti in Italia.

Media che, con la complicità del Clown di Corte, usavano toni e argomenti arroganti e pieni di luoghi comuni, una specie di vendetta Divina ha poi fatto si che proprio l’Inghilterra, che rideva del resto del Continente, fosse la Nazione che avrebbe subito i danni piu’ gravi di questo Virus.

Mi sono fatto convincere anche io che avessero ragione, che facevano bene a ridere dell’Italia e del resto dell’Europa come spesso fanno. Cosa c’era da preoccuparsi? A Londra tutto sembrava perfetto e normale come sempre e forse era vero, pensai: “era la solita melodrammatica’ italiana”.

Ma solo una settimana dopo la FA sospese la sua stagione calcistica, la Premier League si fermava senza sapere quando e come sarebbe ripresa.  “Oh, pensai,  dev’essere una cosa seria!”

In quel momento, tra il cancellare il mio biglietto aereo per Roma e la sospensione della Premier League, iniziò il mio anno pandemico.

Nelle settimane che seguirono, mentre amici e vicini raccontavano storie simili alla mia di quando la vita normale si fermò per loro, cominciai a chiedermi dei racconti che un giorno avremmo raccontato della pandemia che stavamo vivendo. 

Pensavo ai film che sarebbero usciti e i libri che ci avrebbero invaso.

Personalmente, la mia storia inizierebbe con la cancellazione dei biglietti aerei e con l’annullamento della partita Man City – Arsenal, dove il nostro manager è risultato positivo al coronavirus poche ore prima del match.

Virus che si sarebbe preso stringendo la mano al Presidente dell’Olympiacos di Atene pochi giorni prima, partita a cui ero presente anche io, in tribuna ovviamente, non in campo.

Ma, in un quadro più ampio, cosa ricorderemmo come Nazione? 

Come Continente? 

Come Pianeta?

Pandemia 2020
In isolamento alla Tate Modern di Londra – Photo by Massimo Usai

La pandemia non è stata un singolo, traumatico evento “flashbulb” come lo tsunami in Indonesia, la disintegrazione infuocata dello space shuttle Challenger, o l’11 settembre a New York. 

E’ invece, un periodo di vita in cui i ricordi di tutti saranno incorporati, più come la Grande Depressione o la Seconda Guerra Mondiale, o gli anni in cui eravamo a scuola forzati a leggere libri che volevamo vedere incendiati. 

A partire da marzo 2020, centinaia di milioni di persone hanno iniziato a formarsi le proprie impressioni al riguardo e costruirsi i propri diari dove concervare i particolare che la memoria non puo’ contenere per quanti essi sono.

Io ho scritto tanto su questo blog al riguardo e forse un giorno uniro’ tutti i post in una storia unica, una raccolta, un libro, un diario personale.

Come ti diranno psicologi e antropologi che studiano la memoria, tendiamo a stendere i nostri aneddoti quasi come racconti o sceneggiature per dare un significato alle nostre vite; le nostre trame possono rivelare qualcosa su come gestiamo le battute d’arresto.

E’ indubbio che stiamo già plasmando le nostre future narrazioni pandemiche: le storie che racconteremo come individui, come comunità, come società e come Nazioni e popoli su questa epoca. 

Il processo di creazione di queste storie aiuterà a determinare la nostra resilienza e il nostro benessere. 

Il modo in cui raccontiamo le nostre storie può trasformare il modo in cui andiamo avanti e ci trasformiamo come individui dai momenti difficili che affrontiamo.

Esiste inconsciamente nella nostra testa uno stimolo che ci fa pensare e credere che sia tutto finito ed è questa piccola speranza che potrebbe essere pericolosa gia’ da domani.

Se dovesse ripresentarsi l’esigenza di un lockdown, se dovesse una delle mille varianti esplodere ed essere incontrollabile, la nostra reazione psicologica potrebbe essere traumatica e per molti difficile da riprendersi.

Ed ecco perché’ personalmente continuo a pensare che siamo ancora nel bel mezzo della pandemia, che non è per nulla finita, ma stiamo solo cercando di controllarla. 

Conseguentemente la mia storia pandemica cominciata nel marzo 2020, non ha ancora trovato il punto finale, la sua conclusione, nella mia personale esperienza di vita e sono certo neppure nella vostra.

Questo che e’ scritto oggi era solo per auto-ricordarmi dove siamo e cosa stiamo vivendo e forse per ricordarlo anche a voi, che sono certo in tanti si stanno dimenticando della realta’,

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