By Massimo Usai
Sembrava pallido in viso, ma era solo il risultato nello stare sotto la luce gialla dei lampioni della città.
Camminava pensando a domani, quando avrebbe dovuto affrontare i colleghi al lavoro.
Le luci della città in periferia rendono più solitaria la camminata che già di per se si svolge in uno scenario quasi cinematografico.
La giornata era stata piovosa, poi ventosa, accompagnata da un sole che si faceva spazio tra le nuvole che passavano veloci..
A quell’ora c’era una leggera foschia e nonostante fosse calmo e decisamente non freddo, non c’era proprio nessuno in giro. Non una singola anima viva.
Camminava, rifletteva ed ascoltava il suono dei suoi passi.
Nonostante la sua statura, non si sentiva completamente al sicuro in quel silenzio irreale e pensava al suono del cuore che una donna aveva quando si trovava nella stessa situazione.
Un suono differente gli arrivo alle orecchie, era un suono di ferraglia stridente in lontananza, gli fa capire che la stazione ferroviaria non è lontana.
La linea della metropolitana era esterna in quel punto della città e lui stava per passare sotto il ponte rosso in metallo costruito all’inizio del secolo scorso.
Quel ponte passava proprio sulla testa della gente ed era un punto di riferimento importante quando dovevi dare un’indicazione a qualcuno.
Nel frattempo si domandava come potevano vivere quelle persone che avevano le finestre delle loro case che si affacciavano sulla linea metropolitana.
Qualche anno fa ci aveva vissuto in un appartamento che dava sulla linea metropolitana, sapeva cosa voleva dire.
Ecco perche’ non capiva perche’ qualcuno potesse comprare una casa a ridosso della metropolitana.
Era fuggito da quella casa dopo sei mesi, ma erano stati sei mesi assurdi.
Un semplice e continuo incubo.
Era riuscito a fuggire perché l’agenzia che gli affittò l’appartamento non era stata chiara ed onesta su quella metropolitana che passava nel retro.
Gli avevano fatto visitare la casa una mattina che erano in corso dei lavori sulla linea.
L’Agente sapeva bene, ed aveva fatto di tutto per rinviare la visita per due giorni di seguito, proprio per portarlo a prendere una decisione in un giorno tranquillo.
Erano passate solo 48 ore dal momento che era dentro la casa, quando scoprì che non riuscivano ad affittare l’appartamento da alcuni mesi, proprio per via della linea ferroviaria.
Avevano giocato sporco per cercare di fregarlo, ma lui aveva registrato le telefonate per errore, per cui, fortunatamente, si ritrovava le prove delle discussioni avute per telefono e la sua pressante richiesta di un appartamento tranquillo, dove potersi concentrare nella passione dello scrivere.
L’aveva ripetuto molte volte nelle telefonate e fu rassicurato ogni volta sulla sue richiesta.
Dopo pochi minuti da quel ricordo, un altro treno passava sul ponte e il suo rumore riportava la sua mente alle cose che stava riflettendo in precedenza.
“Il problema al lavoro non sarà mai superato”, pensava. “Dovrei prendere una decisione irreversibile”.
C’era come un Iceberg nell’enorme stanza dove lavorava.
Non gli piaceva il lavoro, non gli piacevano i colleghi.
Non era mai uscito con loro neppure per una birra subito dopo il lavoro della giornata breve del Venerdì.
Non sapeva di cosa parlare con loro.
Non gli piaceva la loro attitudine e spesso sentiva, dalla sua postazione lavorativa, la frivolezza dei discorsi che avevano con amici, fidanzate o mogli, per telefono.
Non poteva essere amico di quella gente, ma forse non voleva neppure tentare di esserlo.
Le alternative erano poche.
Rimanere in silenzio, incassare lo stipendio ogni mese e non porsi domande, oppure prendere la pianta che stava sull’angolo vicina alla finestra e le altre poche cose che si era portato con se quando cominciò il suo lavoro nella Compagnia, e andare via e riprendere tutta la trafila che era durata sei mesi, prima di trovare questo lavoro?
Aveva messo da parte i suoi sogni da adolescente troppo presto e troppo facilmente.
Lo sapeva bene, se lo ripeteva bene ogni qualvolta andava in depressione.

Forse era arrivato il momento di riprendere tutto in mano e rimettere la propria vita e il proprio tempo, nella loro giusta dimensione.
Questo era il problema vero: il tempo.
Non importa quanto ti pagano se non ti lasciano tempo per respirare e per te stesso.
Era arrivato il momento di riprendersi il proprio tempo, perché’ se i suoi sogni da giovane erano stati abbandonati, era proprio perché’ il lavoro non gli lasciava nulla, nessuna risorsa interna, per concentrarsi.
I momenti liberi erano veramente rari e quando c’erano, spesso li usava per dormire sul divano di casa.
Sentiva che era arrivato il momento di tirare i dadi e giocare le proprie chances.
Lo pensava da tempo, ma quella sera era come se lo sentisse che era arrivato il momento giusto.
Sapeva che le combinazioni dei numeri disponibili, lanciando i dadi sarebbero state innumerevoli, ma sapeva che comunque erano tutte sostenibili per lui.
Soluzioni che gli aprivano diversi scenari e che di certo non lo spaventavano.
Sicuramente ogni singola scelta sarebbe stata migliore di continuare questa realtà senza senso, solo fine a se stessa per garantirsi un salario a fine mese.
Ma poi per quanto? Con quell’atteggiamento, se un domani ci fossero stati tagli al personale, di sicuro lui era il primo nella lista.
Nessuno di fatto lo conosceva, per cui, nessuno si sarebbe preoccupato di proteggerlo in caso di tagli.
C’era una domanda che si faceva da tempo quando la mattina si faceva la barba e si guardava allo specchio.
Era anche lui quello che stava dentro questo corpo che cambiava continuamente?
Un corpo che cresceva, variava ed invecchiava.
Ma non era solo il suo corpo che si trasformava, era anche tutto quello che gli era attorno.
Era chiaro da tempo che i dadi andavano tirati.
L’avrebbe fatto domani mattina.
Quella sera, sotto quella luce dei lampioni e quella nebbiolina sottile, sentiva che avrebbe voluto sentire il calore del sole.
Quando maggiormente ne sentiva il bisogno, i suoi raggi non erano mai presenti.

“Not home when you need the most”.
Camminava e stava attento ai rumori di fondo e non voleva distrarsi troppo e sbagliare poi l’angolo in cui girare per raggiungere il suo appartamento.
Ci viveva da poco in quella via, ed era uscito cosi poco da casa negli ultimi mesi, che ancora non riusciva a camminare, pensare alle sue cose e comunque raggiungere senza controllare con attenzione, il suo nuovo indirizzo.
“Rimani concentrato sulla svolta della strada e mantieni il controllo sui tuoi sensi”, si diceva da solo,” mentre la tua sanità mentale si risolvera’ rallentando di giorno in giorno la pressione che hai sulle spalle.“
Era chiaro che i destini volavano in cerchio interno alla sua testa quella sera.
Era deciso, determinato.
Doveva solo controllare i pensieri e le azioni conseguenti alla decisioni che avrebbe preso.
Gestire queste emozioni per non farsi travolgere dalle onde che questi pensieri provocavano ogni qualvolta ci entrava troppo dentro ed andava in profondità nella sua mente.
Se voleva realmente gestire quel cambiamento che aveva sempre desiderato dopo tutti questi anni di insoddisfazione, doveva essere concentrato e freddo come l’iceberg che aveva al lavoro ogni giorno.
Aveva una qualità, un arte, se cosi possiamo chiamarla, costruita in questi anni.
Era la qualità di saper perdere.
Sapeva digerire le sconfitte con classe. Non si lasciava andare a istinti suicidi, o sbronze incontrollabili.
Niente di tutto questo.
Chiamava un amico fidato, si sfogava, diceva tutto quello che aveva dentro e mentre parlava cresceva dentro di se la voglia di riscatto.
“Move on”, era la voce interna che l’accompagnava nello scambio con il suo amico e alla fine della telefonata aveva realmente svoltato strada, trovato le motivazioni per andare avanti.
Aveva un amico a cui confidava tutto e lui ascoltava, niente altro.
Lasciava sfogare ed aveva la qualità di farli credere che lo stesse sul serio ascoltando, magari leggeva nel frattempo, ma non era importante cosa lui facesse, era importante che lui gli desse la sensazione che stesse ascoltando.
Dopo avrebbe aggiunto una frase e sapeva che era quella che voleva sentire, quella di cui aveva bisogno. Da un amico come lui era.
Il suono delle ferraglie stridenti del treno sui binari non li sentiva da tempo, forse quella precedente era la conseguenza dell’ultima corsa della giornata.
Anche oggi si era fatto tardi. Il tempo per se stesso era sparito d’incanto anche oggi.
Non c’era verso di cambiare le cose se non si dava una mossa.
Si alzò il bavero della sua giacca grigio-nera preferita, aveva il colore dei suoi capelli, strinse meglio la sciapa al collo e cercò di concentrarsi sulla strada.
A casa aveva un pezzo ancora dello stufato che aveva cucinato il giorno prima, e due pomodori erano ancora in frigo per una bella insalata con l’olio fresco che aveva comprato al negozio biologico del quartiere e che ancora non aveva ancora aperto.
Mancanza di tempo.
Un pensiero a quella cena che avrebbe consumato tra pochi minuti, davanti alla Tv, guardando le ultime news per poi cercare qualcosa da guardare distrattamente per un’altra mezz’ora, prima di dormire.
Il target per la sera non era mai preciso, ma consisteva sempre in alcuni rituali.
Sempre gli stessi da mesi.
Controllare la posta online distrattamente, due minuti sui social network, spegnere il telefono, suonare due canzoni tristi sullo stereo , per quella sera sentiva che “Father John Misty” fosse perfetto, poi lasciarsi andare verso una fase di sonno stancante sul divano, Tv accesa sul niente e poi cercare di raggiungere il letto senza farlo a quattro zampe, in modo ridicolo e penoso, come aveva fatto qualche volta, vergognandosi maledettamente di essere arrivato a quel punto.
Tutto era chiaro nella sua mente in quell’istante, quella luce, quell’aria fresca, forse il suono stridente delle rotaie, forse il ricordo di quei sei mesi in quell’appartamento, forse altro, sta di fatto che era chiaro che era arrivato il momento di cambiare.

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